
Il Genosociogramma è lo strumento principale usato nella Psicogenealogia di Anne Ancelin Schützenberger, fu ideato in origine da Henry Collomb, ed è il frutto dell’unione fra il Genogramma e la Sociometria di Jacob Levi Moreno. Si tratta di un albero genealogico commentato, che può essere usato anche per rappresentare graficamente lo svolgersi di una costellazione familiare [le Costellazioni Familiari sono una tecnica ideata in Germania negli anni ’80 dal celebre Bert Hellinger, e dalla prospettiva psicogenealogica sono considerate un atto simbolico [questa è una delle tante differenze con la Metagenealogia del famoso Alejandro Jodorowsky] poiché ci permettono di “metacomunicare”, ossia di esprimere in modo analogico contenuti inconsci che erano stati soppressi perché troppo dolorosi, e così facendo ci indicano esattamente dove sta il problema e anche come risolverlo – esiste infatti un misterioso Campo di Coscienza della famiglia, definito da Hellinger il “Campo”, grazie al quale i rappresentanti e il costellatore captano le vere emozioni dei membri di famiglia, e dal quale in genere si ottengono anche informazioni su come risolvere i conflitti rimasti irrisolti: il Campo viene sperimentato sotto forma di emozioni (a volte anche molto forti), sensazioni corporee, pensieri e intuizioni, dunque per potervi accedere è richiesto un minimo di capacità di auto-osservazione, nonché apertura ai propri sentimenti].

Il nome Genosociogramma etimologicamente è l’unione del termine “Genogramma”, ossia un albero genealogico semplice, con il termine “Sociogramma”, ovvero la rappresentazione dei legami e delle relazioni che intercorrono fra i vari membri di famiglia. Dunque il Genosociogramma è un albero genealogico che presenta fatti significativi, avvenimenti importanti della vita dei singoli membri, e i legami affettivi fra di loro, indicati graficamente per mezzo di specifici simboli – come le “frecce sociometriche”.
Il Genosociogramma unisce quindi al Genogramma la Sociometria di Moreno, il quale introdusse il concetto di Atomo Sociale, ossia le persone, gli oggetti, i luoghi, eccetera più cari alla persona: una forma molto semplice di Sociometria è quella di chiedere al cliente di collocare prima sé stesso in un punto del foglio, e poi tutti questi elementi a distanza se non li sente parte di sé, se li sente lontani e quindi non li vuole vicini, e più vicini a lui / lei, se ha un rapporto molto stretto con loro.
Mentre il genogramma o albero genealogico permette di rappresentare la struttura esterna, di apparenza della famiglia, il genosociogramma mostra la sua struttura interna, il modo in cui i singoli membri si percepiscono l’un l’altro, la loro vicinanza e lontananza emotiva, il modo in cui vedono il loro ruolo e quello degli altri, eventuali dinamiche nascoste e inconsce che a prima vista sfuggono poiché sono spesso “proibite” e quindi hanno bisogno di essere celate a tutti, persino a chi le ha originate. Il genosociogramma è quindi un vero e proprio “romanzo grafico” che mette in luce le dinamiche segrete fra i membri, le identificazioni inconsce con gli antenati, i lutti non elaborati, le ripetizioni di date ed eventi, segreti, e così via.
Infatti il solo atto di stilare il proprio genosociogramma è terapeutico e permette di prendere coscienza della verità rispetto alle dinamiche di famiglia, dunque ci mette in contatto diretto con l’inconscio collettivo del nostro sistema famiglia.

Secondo Anne Ancelin Schützenberger il genosociogramma rappresenta lo strumento elettivo nell’analisi psicogenealogica, non solo perché mette in evidenza quelle che sono le vere dinamiche di famiglia e porta al livello conscio la visione inconscia che ciascuno di noi ha della propria famiglia – visione che in questo modo può essere modificata – ma anche perché il cliente, nell’atto stilare il proprio genosociogramma, può avere delle dimenticanze, dei lapsus, degli atti involontari, come per esempio dimenticarsi di mettere la croce quando sta rappresentando un parente morto, segnalando che si tratta di un lutto non elaborato; dunque bisogna osservare attentamente il cliente mentre stila il suo genosociogramma, e all’inizio è importante farglielo disegnare come meglio crede, senza dargli istruzioni, e vedere come rappresenta i vari membri.
Per esprimere tutto questo in termini più tecnici, possiamo dire che il genosociogramma permette di avere sia una visione psicanalitica (dinamiche inconsce) che una visione sistemica (il ruolo rivestito da ciascuno nel sistema famiglia) di un gruppo famiglia.
Qualsiasi errore nella compilazione del genosociogramma, così come eventuali vuoti, come per esempio mancanza di dati riguardo un nonno o un bisnonno (non se ne conosce la data di morte o addirittura non se ne conosce neppure il nome), comunica informazioni importanti riguardo la famiglia: questo è un indizio che lì può ad esempio risiedere un segreto inconfessabile. I vuoti quindi “parlano da soli”.
Il genosociogramma deve rappresentare almeno 3 generazioni, se il cliente ha figli si arriva anche solo fino ai nonni, altrimenti è necessaria anche la generazione dei bisnonni. Per formulare ipotesi psicogenealogiche infatti abbiamo bisogno di almeno 3 generazioni.
Nel genosociogramma vanno inclusi anche tutti gli abortiti e i nati morti, che spesso, non essendo stati propriamente ricordati, possono essere ri-presentati dalla Coscienza del Sistema Famiglia in vari modi nelle generazioni successive, per esempio “irretendo” un discendente, ossia facendo “rivivere” l’antenato in lui / lei [condizione della quale ci si può naturalmente liberare]: in estrema sintesi, un soggetto irretito da un antenato sente di non star vivendo la sua esistenza e non si accorge di “comportarsi come” o di avere caratteristiche identiche all’antenato (che può anche non conoscere se ad esempio si tratta di un bisnonno), ossia sta rivivendo il “destino” dell’antenato. La Coscienza Sistemica ordina che qualsiasi atto incompiuto, vuoto o esclusione venga in qualche modo “riparato” dai discendenti, anche se per “riparare”, questi ultimi vengono danneggiati – si tratta quindi di una Coscienza “cieca” che tutela gli ascendenti mentre non ha “riguardi” per i discendenti.

LE ORIGINI: LA PSICOGENEALOGIA SVILUPPATA DA ANNE ANCELIN SCHÜTZENBERGER
La Psicogenealogia nacque in Francia verso la fine degli anni ’80, frutto del lavoro di studio e di ricerca della psicologa e psicoterapeuta francese Anne Ancelin Schützenberger. Tutto iniziò quando la Schützenberger si interessò agli studi statistici sulle ripetizioni familiari condotti da Josephine Higard, ai quali unì la teoria sistemica formulata dal gruppo di Palo Alto negli anni ’50 e le ricerche di Boszormenyi-Nagy, il quale scoprì che esiste una sorta di “contabilità inconscia” all’interno delle famiglie, anche conosciuta come “lealtà invisibile”. La Shützenberger riuscì a mettere insieme tutti questi studi e a creare un approccio teorico e pratico, usando come strumento principale il Genosociogramma di Henry Collomb, frutto dell’unione fra il genogramma e la Sociometria di Jacob Levi Moreno.

Anche se Anne Ancelin si diceva freudiana, la sua Psicogenealogia viene oggi definita “junghiana”¹ innanzitutto per l’idea che esista una trasmissione inconscia fra le generazioni, in secondo luogo per l’importanza che dà alle Sincronicità, alla tecnica del disegno analogico e ai lapsus che si possono verificare durante il consulto, i quali sono il veicolo che permette ai contenuti inconsci di venire in superficie; infatti fu proprio Jung a far notare che esiste una qualche trasmissione inconscia fra più generazioni, per mezzo di quello che lui definì Inconscio Collettivo. Espresse queste idee nel suo famoso Ma Vie, dove parlò dell’esistenza di un “karma impersonale” che si trasmette attraverso le varie generazioni; Jung diceva di avere la sensazione di essere condizionato da questioni rimaste irrisolte nelle generazioni precedenti. Jung quindi è considerato il padre della Psicogenealogia, e influenzò pure Bert Hellinger, il quale rimase colpito da questo stesso passo del libro Ma Vie.
L’ipotesi principale sostenuta dalla Psicogenealogia junghiana [termine che uso anche per distinguerla dalla Metagenealogia di Jodorowsky] è che ciascuno di noi si porta dietro al livello inconscio i traumi, i pesi, i segreti, i conflitti e i lutti rimasti irrisolti delle generazioni che ci hanno preceduto, e che tutto questo ci provoca problemi di varia natura, più o meno gravi. In altre parole, se oggi incontriamo problemi a realizzarci pienamente nella vita, ad avere un lavoro stabile o il denaro che desideriamo, se abbiamo problemi nelle relazioni di coppia o nelle relazioni in generale, ciò è dovuto al fatto che ci portiamo dietro pesi non nostri, visto che facciamo parte di un sistema famiglia in cui esiste un inconscio condiviso e delle regole implicite, le quali servono a mantenere in vita il sistema stesso, per cui ogni volta che qualcosa rimane irrisolto o che si verifica un’ingiustizia, il sistema tenta di riportare l’equilibrio ripresentando quello stesso problema alle generazioni successive, fino a che qualcuno non ne prende finalmente coscienza. Così molte malattie sono dovute a questa stessa trasmissione inconscia – questi casi nel gergo delle Costellazioni Familiari sono definiti “irretimenti”: in altre parole, identificazione inconscia con un antenato.
Nota:
¹ [Psicogenealogia Junghiana] Termine coniato da Maura Saita Ravizza!
IL CONCETTO DI LEALTÀ FAMILIARE INCONSCIA
Il concetto di Lealtà Familiare o invisibile fu coniato da Ivan Boszormengy-Nagy ed è strettamente legato a quello di Memoria Familiare, la quale racchiude tutto ciò che hanno provato i nostri ascendenti in occasione di momenti particolari della storia familiare e / o sociale (pensiamo per esempio ad una guerra), e che si trasmette al livello inconscio, senza che ce ne accorgiamo – eppure i suoi effetti sono molto forti, e in genere si sentono proprio quando ci troviamo a dover compiere un passo importante nella nostra vita e ci sentiamo incapaci di muoverci, come se fossimo bloccati da una forza invisibile. Questa forza invisibile è la lealtà verso i nostri antenati: i discendenti si fanno carico dei pesi degli antenati e delle loro eventuali questioni irrisolte, al fine di ristabilire l’equilibrio nel sistema famiglia. Onoriamo senza saperlo, e contro la nostra volontà, la Lealtà Familiare, la quale ci obbliga a farci carico dei problemi (anche fisici) degli antenati, dei loro conflitti non risolti, delle esclusioni di alcuni membri e dei Segreti di famiglia, il che può produrre malattie spesso strane e apparentemente inspiegabili, difficoltà a realizzarsi pienamente nella vita, problemi relazionali di ogni tipo, mancanza di equilibrio interiore, e così via.
La Lealtà nel sistema famiglia è sempre implicita, e diventa evidente solo quando il clan si scontra con altri gruppi, e quindi la lealtà serve per mantenere il sistema unito e per non farlo soccombere alle pressioni del mondo esterno (equilibrio omeostatico).² Per evitare di essere distrutto, il sistema famiglia crea una sua identità, fatta di obblighi impliciti per tutti i suoi membri, i quali devono condividere gli stessi valori e ideali per poter restare uniti, dunque si oppone strenuamente ad ogni tentativo di cambiamento, e ciò può provocare problemi persino quando si tratta di cambiamenti dovuti alla necessità dei figli di costruirsi una propria famiglia: in tal caso la lealtà può diventare distruttiva e patologica, generando un conflitto molto forte nel figlio.
Nota:
² La famiglia è un gruppo, un sistema omeostatico che ha le sue proprie regole, le quali servono per mantenere lo status quo – si evita a tutti i costi che un cambiamento di qualsiasi tipo possa rompere questo gruppo, e ciò che tiene unito il gruppo sono proprio le regole implicite (che il bambino intuisce da sé sin da quando è molto piccolo) che ha deciso di adottare.
IL LUTTO PATOLOGICO e i suoi SINTOMI
Il lutto patologico si ha in mancanza di elaborazione di un lutto, ossia quando il soggetto non riesce ad accettare la morte di un suo caro e quindi non si dà mai pace, non potendosene fare una ragione.
In genere, secondo la mia esperienza, i sintomi che possono indicare che la persona soffre di “lutto patologico” sono i seguenti – ma bisogna sempre tenere a mente che ognuno di noi è diverso dall’altro, dunque il lutto patologico potrebbe manifestarsi in modo diverso rispetto alla descrizione che ho fornito qui sotto:
- forte senso di colpa, ci si sente responsabili per la vita infelice e per la morte del proprio caro, anche se quest’ultimo quando era in vita si è comportato in modo crudele con noi.
- Aver vissuto la morte di del proprio caro in modo traumatico ed “eccessivamente” drammatico, come per esempio aver “presentito” la morte del proprio caro poco prima che avvenisse, tanto che il soggetto potrebbe pensare di aver provocato lui stesso tale morte – ciò è invece il risultato della forte connessione che c’è al livello inconscio con il proprio caro, specie se si tratta di genitori e figli.
- Il soggetto si trova in “un mare di dolore”: è affranto, piange spesso, si sente depresso, può persino aver tentato varie volte il suicidio, si sente inutile, svalutato e incapace. Da ciò deriva la tendenza ad attaccarsi morbosamente alle persone, perché si ricerca l’approvazione altrui, nel tentativo di ricreare la “simbiosi patologica“ perduta con la morte del proprio caro (specie se si trattava del genitore). Può arrivare per questo a rendersi ridicolo, risultando persino insopportabile per gli altri.
- Il soggetto non riesce a mettersi l’anima in pace, credendo di essere responsabile della morte appena avvenuta.
- Il soggetto potrebbe sviluppare una malattia cronica o grave, in genere patologie cardiache, ma anche tumori, i quali sono espressione di rigidità, incapacità di lasciar andare il passato e di aprirsi al “nuovo” – in altre parole ci si ammala gravemente perché non si vede più alcuna “via di uscita”, e ci si sente come se non valga più la pena vivere. A questo livello il lutto patologico porta il soggetto a morire a sua volta non molto tempo dopo la scomparsa del proprio caro, o a distanza di qualche anno [questo è chiaramente un segnale di grande indifferenziazione, di eccessiva “fusione con gli altri”, e non la semplice conseguenza di un “lutto non elaborato” – vedi questo mio articolo]
- Il soggetto può sviluppare dipendenze da alcool, da altre sostanze, da persone, abitudini malsane (come mangiare in modo eccessivo) eccetera, nel tentativo di soffocare il dolore che prova.
- Chiunque dimostri di essere ancora attaccato alla morte del proprio caro, anche se questa è avvenuta decenni fa, non dandosi mai pace, poiché sente di non essere stato in grado di salvare il proprio caro. Continua a vivere e magari non si ammala gravemente al livello fisico, tuttavia si limita a “sopravvivere”, rimanendo in “lutto perenne”.
COMPLICAZIONI DERIVANTI DAL LUTTO PATOLOGICO:
Le complicazioni più frequenti del lutto patologico sono:
- Lutto differito: il soggetto si auto-infligge la sofferenza al livello fisico, come per mimare quella del caro estinto. Ancora lo piange settimane o mesi dopo la sua scomparsa.
- Assenza del lutto / lutto inibito: si è coscienti che la persona cara è morta, però non si vogliono vivere le emozioni dolorose dovute a tale perdita, si generano così malattie psicosomatiche a seguito della soppressione delle proprie emozioni (le emozioni restano “intrappolate nel corpo”, e così facendo provocano malattie).
- Lutto cronico: è un lutto che non termina mai e che si trasforma in depressione cronica.
- Lutto distorto: il soggetto reagisce con rabbia, rivolta verso sé stesso e / o il defunto, perché preferisce essere arrabbiato, piuttosto che piangere per la tristezza.
LE 5 FASI DI ELABORAZIONE DEL LUTTO DI ELISABETH KÜBER-ROSS:
Il modello del lutto ridotto a 5 fasi venne pubblicato nel 1970, e descrive nel seguente modo le fasi della perdita di una persona cara:
1: Negazione e rifiuto: il soggetto si aspetta di veder comparire davanti a sé il morto, e si ripete continuamente: “Non può essere successo”. Rifiuta l’idea che il suo caro sia morto – a questo punto può emergere anche la sensazione di distacco dalla situazione che si sta vivendo, ossia ci si sente come se si stesse osservando una tragedia che ha toccato un’altra persona e non sé stessi, meccanismo di difesa che evita di dover provare appieno il grande dolore della perdita (che è lo stesso meccanismo che si attiva quando si vive un trauma che mette in pericolo la propria sopravvivenza, e quindi si ritrova in chi soffre di PTSD).
2: Negoziazione o Patteggiamento: il soggetto spera nel ritorno del proprio caro, e fa promesse a sé stesso e al defunto. Dice cose del tipo: “Se torni da me prometto che non farò mai più…/ prometto che farò questo e questo,…”.
3: Rabbia: il soggetto è costretto ad ammettere la perdita del suo caro. Questa rabbia è rivolta verso di sé e / o verso il morto / Dio. Si tratta di una rabbia positiva e costruttiva, perché serve a coprire il sentimento di perdita. Ad esempio può arrabbiarsi con il defunto per averlo lasciato e “litigare con lui o con lei nella sua testa”.
4: Depressione: il soggetto ora si permette di provare tristezza per la perdita del suo caro. Si tratta di una depressione costruttiva, in quanto permette l’elaborazione finale del lutto. La fase di estrema tristezza, in cui si ha voglia di piangere in continuazione, permette di superare la perdita, lasciando uscire emozioni negative che altrimenti rimarrebbero “intrappolate nel corpo”, provocando malattie. È dunque uno sfogo liberatorio e positivo del proprio dolore, e in genere lo si vuole vivere in silenzio e in solitudine, perché è un processo molto intimo.
5: Accettazione: il soggetto può finalmente riprendere in mano la propria vita, ora che sa che il suo caro avrà sempre uno spazio nel suo cuore.
Le fasi del lutto NON sono quasi mai lineari, visto che le emozioni non seguono un ordine ben preciso, e le persone si ritrovano spesso ad oscillare fra una fase e l’altra, inoltre possono persino avere paura di andare alla fase successiva, e così facendo bloccano l’elaborazione del lutto.
IL LUTTO NON RISOLTO COME “ATTO NON COMPIUTO”
In Psicogenealogia il lutto non risolto è considerato un “atto non compiuto”, non portato a termine, che viene scaricato sulle generazioni successive, le quali si sentono in dovere di elaborarlo al posto dell’ascendente (cosa che non è possibile fare, in quanto la responsabilità e dell’ascendente e non del discendente). Il lutto irrisolto si trasmette da una generazione all’altra come fanno i segreti, e può produrre ad esempio prima Bambini di sostituzione e poi la Sindrome di Gisant, avendo effetti nefasti sui discendenti. Si tratta sempre di lutti ritenuti inaccettabili.
LA “SINDROME DI GISANT” E IL “BAMBINO DI SOSTITUZIONE”
Il primo a parlare della Sindrome del Gisant è stato Salomon Sellam, medico francese esperto di medicina psicosomatica, formatosi presso l’Università di Montpellier, e considerato il padre della medicina transgenerazionale, il quale nel 2003 pubblicò un libro dal titolo Le Gisant Syndrome, un subtil enfant de remplacement [La Sindrome di Gisant, un subdolo bambino di sostituzione].

Il Gisant è una scultura funeraria cristiana che raffigura il morto che si trova all’interno della tomba sul quale è stata posta, in genere rappresentato sdraiato.
In Psicogenealogia il Gisant è la memoria di un antenato morto prematuramente, il cui decesso è stato visto, e di conseguenza vissuto come non accettabile, e quindi impossibile da elaborare, che come un fantasma “giace nel” o “riposa nel” (ci-gît, qui riposa, dal verbo gésir) corpo di un discendente. Questo shock è stato quindi talmente forte che i suoi effetti si fanno sentire per più di una generazione, producendo problemi mentali e / o fisici nei discendenti colpiti.
Chi è affetto da questa sindrome sente di non riuscire a vivere, è perennemente depresso, e prova una grande vicinanza col defunto, si identifica inconsciamente con lui / lei. Per questo spesso i “Gisant” sono attratti dalle cose scure, macabre, dal buio (Sellam dice che molti di loro dormono completamente al buio, come se fossero chiusi in una bara), si vestono spesso di nero e sono attratti dallo stile gotico.
Alcuni sintomi della “Sindrome di Gisant” sono:
- la sindrome di Raynaud.
- Ischemie.
- Paralisi.
- Sclerosi multipla.
- Morbo di Parkinson.
- Aerofagia.
- Flatulenza.
- Varie forme di malattie psichiche come autismo e schizofrenia, e così via.
Naturalmente non tutte le persone che soffrono di questi disturbi sono automaticamente dei Gisant, infatti bisogna sempre fare un’adeguata analisi della situazione psichica e familiare del soggetto, oltre a dover sicuramente stilare il suo Genosociogramma.
Un “Gisant” è un bambino di sostituzione speciale: mentre il “Bambino di Sostituzione” emerge subito dopo il lutto che ha colpito la famiglia, ossia a distanza ravvicinata dal lutto percepito dal sistema famiglia come ingiusto e quindi impossibile da elaborare, il Gisant è colui che eredita nelle generazioni successive (e quindi non subito), il ruolo di “Bambino di Sostituzione”: si tratta di una memoria soppressa al livello inconscio, perché troppo dolorosa. In pratica il “Gisant” è il fantasma dell’ascendente morto, che viene fatto rivivere dai discendenti, ed ha quindi ripercussioni su diverse generazioni e non solamente su quella presente.