Il lutto non elaborato, le 5 fasi di elaborazione del lutto di Elisabeth Küber-Ross e la “Sindrome di Gisant”.

IL LUTTO PATOLOGICO e i suoi SINTOMI

Il lutto patologico si ha in mancanza di elaborazione di un lutto, ossia quando il soggetto non riesce ad accettare la morte di un suo caro e quindi non si dà mai pace, non potendosene fare una ragione.

In genere, secondo la mia esperienza, i sintomi che possono indicare che la persona soffre di “lutto patologico” sono i seguenti – ma bisogna sempre tenere a mente che ognuno di noi è diverso dall’altro, dunque il lutto patologico potrebbe manifestarsi in modo diverso rispetto alla descrizione che ho fornito qui sotto:

  • forte senso di colpa, ci si sente responsabili per la vita infelice e per la morte del proprio caro, anche se quest’ultimo quando era in vita si è comportato in modo crudele con noi.

  • Aver vissuto la morte di del proprio caro in modo traumatico ed “eccessivamente” drammatico, come per esempio aver “presentito” la morte del proprio caro poco prima che avvenisse, tanto che il soggetto potrebbe pensare di aver provocato lui stesso tale morte – ciò è invece il risultato della forte connessione che c’è al livello inconscio con il proprio caro, specie se si tratta di genitori e figli.

  • Il soggetto si trova in “un mare di dolore”: è affranto, piange spesso, si sente depresso, può persino aver tentato varie volte il suicidio, si sente inutile, svalutato e incapace. Da ciò deriva la tendenza ad attaccarsi morbosamente alle persone, perché si ricerca l’approvazione altrui, nel tentativo di ricreare la “simbiosi patologica perduta con la morte del proprio caro (specie se si trattava del genitore). Può arrivare per questo a rendersi ridicolo, risultando persino insopportabile per gli altri.

  • Il soggetto non riesce a mettersi l’anima in pace, credendo di essere responsabile della morte appena avvenuta.

  • Il soggetto potrebbe sviluppare una malattia cronica o grave, in genere patologie cardiache, ma anche tumori, i quali sono espressione di rigidità, incapacità di lasciar andare il passato e di aprirsi al “nuovo” – in altre parole ci si ammala gravemente perché non si vede più alcuna “via di uscita”, e ci si sente come se non valga più la pena vivere. A questo livello il lutto patologico porta il soggetto a morire a sua volta non molto tempo dopo la scomparsa del proprio caro, o a distanza di qualche anno [questo è chiaramente un segnale di grande indifferenziazione, di eccessiva “fusione con gli altri”, e non la semplice conseguenza di un “lutto non elaborato” – vedi questo mio articolo]

  • Il soggetto può sviluppare dipendenze da alcool, da altre sostanze, da persone, abitudini malsane (come mangiare in modo eccessivo) eccetera, nel tentativo di soffocare il dolore che prova.

  • Chiunque dimostri di essere ancora attaccato alla morte del proprio caro, anche se questa è avvenuta decenni fa, non dandosi mai pace, poiché sente di non essere stato in grado di salvare il proprio caro. Continua a vivere e magari non si ammala gravemente al livello fisico, tuttavia si limita a “sopravvivere”, rimanendo in “lutto perenne”. 

COMPLICAZIONI DERIVANTI DAL LUTTO PATOLOGICO:

Le complicazioni più frequenti del lutto patologico sono:

  • Lutto differito: il soggetto si auto-infligge la sofferenza al livello fisico, come per mimare quella del caro estinto. Ancora lo piange settimane o mesi dopo la sua scomparsa.

  • Assenza del lutto / lutto inibito: si è coscienti che la persona cara è morta, però non si vogliono vivere le emozioni dolorose dovute a tale perdita, si generano così malattie psicosomatiche a seguito della soppressione delle proprie emozioni (le emozioni restano “intrappolate nel corpo”, e così facendo provocano malattie).

  • Lutto cronico: è un lutto che non termina mai e che si trasforma in depressione cronica.

  • Lutto distorto: il soggetto reagisce con rabbia, rivolta verso sé stesso e / o il defunto, perché preferisce essere arrabbiato, piuttosto che piangere per la tristezza.

LE 5 FASI DI ELABORAZIONE DEL LUTTO DI ELISABETH KÜBER-ROSS:

Il modello del lutto ridotto a 5 fasi venne pubblicato nel 1970, e descrive nel seguente modo le fasi della perdita di una persona cara:
1: Negazione e rifiuto: il soggetto si aspetta di veder comparire davanti a sé il morto, e si ripete continuamente: “Non può essere successo”. Rifiuta l’idea che il suo caro sia morto – a questo punto può emergere anche la sensazione di distacco dalla situazione che si sta vivendo, ossia ci si sente come se si stesse osservando una tragedia che ha toccato un’altra persona e non sé stessi, meccanismo di difesa che evita di dover provare appieno il grande dolore della perdita (che è lo stesso meccanismo che si attiva quando si vive un trauma che mette in pericolo la propria sopravvivenza, e quindi si ritrova in chi soffre di PTSD).

2: Negoziazione o Patteggiamento: il soggetto spera nel ritorno del proprio caro, e fa promesse a sé stesso e al defunto. Dice cose del tipo: “Se torni da me prometto che non farò mai più…/ prometto che farò questo e questo,…”.

3: Rabbia: il soggetto è costretto ad ammettere la perdita del suo caro. Questa rabbia è rivolta verso di sé e / o verso il morto / Dio. Si tratta di una rabbia positiva e costruttiva, perché serve a coprire il sentimento di perdita. Ad esempio può arrabbiarsi con il defunto per averlo lasciato e “litigare con lui o con lei nella sua testa”.

4: Depressione: il soggetto ora si permette di provare tristezza per la perdita del suo caro. Si tratta di una depressione costruttiva, in quanto permette l’elaborazione finale del lutto. La fase di estrema tristezza, in cui si ha voglia di piangere in continuazione, permette di superare la perdita, lasciando uscire emozioni negative che altrimenti rimarrebbero “intrappolate nel corpo”, provocando malattie. È dunque uno sfogo liberatorio e positivo del proprio dolore, e in genere lo si vuole vivere in silenzio e in solitudine, perché è un processo molto intimo. 

5: Accettazione: il soggetto può finalmente riprendere in mano la propria vita, ora che sa che il suo caro avrà sempre uno spazio nel suo cuore. 

Le fasi del lutto NON sono quasi mai lineari, visto che le emozioni non seguono un ordine ben preciso, e le persone si ritrovano spesso ad oscillare fra una fase e l’altra, inoltre possono persino avere paura di andare alla fase successiva, e così facendo bloccano l’elaborazione del lutto.


IL LUTTO NON RISOLTO COME “ATTO NON COMPIUTO”

In Psicogenealogia il lutto non risolto è considerato un “atto non compiuto”, non portato a termine, che viene scaricato sulle generazioni successive, le quali si sentono in dovere di elaborarlo al posto dell’ascendente (cosa che non è possibile fare, in quanto la responsabilità e dell’ascendente e non del discendente). Il lutto irrisolto si trasmette da una generazione all’altra come fanno i segreti, e può produrre ad esempio prima Bambini di sostituzione e poi la Sindrome di Gisant, avendo effetti nefasti sui discendenti. Si tratta sempre di lutti ritenuti inaccettabili.


LA “SINDROME DI GISANT” E IL “BAMBINO DI SOSTITUZIONE”

Il primo a parlare della Sindrome del Gisant è stato Salomon Sellam, medico francese esperto di medicina psicosomatica, formatosi presso l’Università di Montpellier, e considerato il padre della medicina transgenerazionale, il quale nel 2003 pubblicò un libro dal titolo Le Gisant Syndrome, un subtil enfant de remplacement [La Sindrome di Gisant, un subdolo bambino di sostituzione].

Un Gisant, scultura funeraria cristiana che raffigura il morto che si trova all’interno della tomba sulla quale è posta. Questo è uno dei “Gisant de Fontevraud“, e si tratta della statua funeraria di Riccardo Cuor di Leone (Riccardo I di Inghilterra), morto il 6 aprile 1199, e custodito presso l’Abbazia di Fontevraud in Francia. IMMAGINE PRESA DA: https://fr.anecdotrip.com/les-gisants-de-fontevraud-god-save-mon-repos-eternel-par-vinaigrette

Il Gisant è una scultura funeraria cristiana che raffigura il morto che si trova all’interno della tomba sul quale è stata posta, in genere rappresentato sdraiato.

In Psicogenealogia il Gisant è la memoria di un antenato morto prematuramente, il cui decesso è stato visto, e di conseguenza vissuto come non accettabile, e quindi impossibile da elaborare, che come un fantasma “giace nel” o “riposa nel” (ci-gît, qui riposa, dal verbo gésir) corpo di un discendente. Questo shock è stato quindi talmente forte che i suoi effetti si fanno sentire per più di una generazione, producendo problemi mentali e / o fisici nei discendenti colpiti.

Chi è affetto da questa sindrome sente di non riuscire a vivere, è perennemente depresso, e prova una grande vicinanza col defunto, si identifica inconsciamente con lui / lei. Per questo spesso i “Gisant” sono attratti dalle cose scure, macabre, dal buio (Sellam dice che molti di loro dormono completamente al buio, come se fossero chiusi in una bara), si vestono spesso di nero e sono attratti dallo stile gotico.

Alcuni sintomi della “Sindrome di Gisant” sono:

  • la sindrome di Raynaud.
  • Ischemie.
  • Paralisi.
  • Sclerosi multipla.
  • Morbo di Parkinson.
  • Aerofagia.
  • Flatulenza.
  • Varie forme di malattie psichiche come autismo e schizofrenia, e così via.

Naturalmente non tutte le persone che soffrono di questi disturbi sono automaticamente dei Gisant, infatti bisogna sempre fare un’adeguata analisi della situazione psichica e familiare del soggetto, oltre a dover sicuramente stilare il suo Genosociogramma.

Un “Gisant” è un bambino di sostituzione speciale: mentre il “Bambino di Sostituzione” emerge subito dopo il lutto che ha colpito la famiglia, ossia a distanza ravvicinata dal lutto percepito dal sistema famiglia come ingiusto e quindi impossibile da elaborare, il Gisant è colui che eredita nelle generazioni successive (e quindi non subito), il ruolo di “Bambino di Sostituzione”: si tratta di una memoria soppressa al livello inconscio, perché troppo dolorosa. In pratica il “Gisant” è il fantasma dell’ascendente morto, che viene fatto rivivere dai discendenti, ed ha quindi ripercussioni su diverse generazioni e non solamente su quella presente.