Deprogrammazione e Riprogrammazione Mentale, Freud, Jung, Le Teorie sulla famiglia (Analisi Transazionale, Murray Bowen, Bateson / Palo Alto, studi transgenerazionali), Neville Goddard - legge degli assunti

Comportamenti fortemente auto-sabotanti: co-dipendenza (simbiosi patologica), de-responsabilizzazione e iper-responsabilizzazione + Come funziona veramente il processo di Riprogrammazione Mentale

 


Questo articolo è basato quasi esclusivamente sul libro Analisi Transazionale e cura delle psicosi di Jacqui Lee Schiff, Casa Editrice Astrolabio, 1980 (l’originale risale al 1975, titolo: Cathexis Reader – Transactional Analysis treatment of psychosis).

La Schiff era un’assistente sociale psichiatrica sin dalla fine degli anni ’60 che, sulla base dell’Analisi Transazionale di Eric Berne, sviluppò la teoria della Rigenitorializzazione, che usava insieme al marito Moe per curare malati psichiatrici gravi presso il loro Cathexis Institute – il quale all’inizio aveva residenza nella loro stessa casa in Virginia.

Il libro è il frutto di 10 anni di lavoro a stretto contatto con i malati psichiatrici, e in seguito questo metodo di lavoro si è rivelato utile anche per pazienti non psichiatrici.

L’Analisi Transazionale di Eric Berne venne infatti ampliata notevolmente dai suoi “allievi di seconda generazione”, ossia i coniugi Goulding, Muriel James e Jacqui Schiff. Mentre Robert e Mary Goulding e Muriel James si interessavano maggiormente di nevrosi, e unirono la Gestalt di Fritz Perls all’Analisi Transazionale, gli Schiff si dedicavano agli schizofrenici. Berne presentò il lavoro della Schiff come il primo approccio sistematizzato ed efficace nella “terapia regressiva intensiva delle psicosi dissociative”.

Al contrario della psichiatria mainstream, questi psichiatri alternativi sono contrari all’uso degli psicofarmaci, in quanto non vedono il paziente come qualcuno che soffre per un “malfunzionamento chimico” del cervello, ma come un soggetto cresciuto in un ambiente familiare altamente disfunzionale – fatto già noto agli psichiatri sin dagli anni ’30 del 1900. Inoltre, andando contro i metodi impiegati nella psichiatrica e nella psicanalisi tradizionale, qui si fa uso dei fenomeni del TRANSFERT (il paziente proietta le sue aspettative infantili sul terapeuta, scambiandolo per il suo genitore – ovviamente il Transfert può manifestarsi anche come proiezione dei bisogni infantili non soddisfatti della persona in generale su altre persone e persino sugli animali domestici – ad esempio proiezioni di aspettative insoddisfatte sui figli (che come spiego più in là nell’articolo provoca poi gravi problemi in questi ultimi una volta cresciuti)) e del CONTROTRANSFERT (il terapeuta proietta le sue aspettative insoddisfatte e i suoi problemi irrisolti sul paziente) per fini terapeutici.


Ovviamente, dato che mi sto occupando di deprogrammazione e di riprogrammazione mentale, per scrivere questo articolo ho selezionato i contenuti del libro che sono di interesse per tutti noi, visto che molte di queste dinamiche mentali si riscontrano persino in soggetti considerati “normali” – accade infatti che alcuni individui che si rivolgono ai coach della “legge degli assunti” si comportino come se fossero dallo psichiatra, ossia portano con sé una marea di problemi irrisolti che tentano di “scaricare” sul coach!


IL CONCETTO DI “SISTEMA DI RIFERIMENTO”

In Analisi Transazionale il “Sistema di Riferimento” è l’insieme di Genitore, Adulto e Bambino, stati dell’Io qui connessi l’uno all’altro, che collaborano al fine di far funzionare correttamente l’individuo. Si tratta di un insieme di risposte ben definite a determinati stimoli del mondo esterno, apprese in infanzia in base all’esempio fornito dai genitori. In sintesi questo sistema determina come il soggetto vede e interpreta il mondo esterno, come vede sé stesso, come definisce sé stesso, come si sente in relazione a determinati eventi, come risponde a certi stimoli (positivi e negativi).

Risponde a domande del tipo: “Come so che esisto?” e: “Chi sono?”

Lo possiamo immaginare come una pellicola che circonda gli Stati dell’Io, unendoli e fungendo da “filtro della realtà”:

Quando riprogrammiamo la mente stiamo “ingabbiando” l’Io Genitore, svalutando in modo selettivo (selettivo perché non li dobbiamo eliminare tutti, alcuni messaggi sono ancora validi e utili) i vecchi messaggi genitoriali che hanno provocato sofferenza e auto-sabotaggio, dando così energia alla costruzione di un Nuovo Genitore. Tale processo porta ad una riorganizzazione del nostro Sistema di Riferimento, con perdita dei vecchi punti di riferimento, e stato intermedio in cui non siamo né il vecchio sé, né quello nuovo, durante il quale ci sentiamo fortemente a disagio.

In pratica prima prendiamo coscienza delle convinzioni limitanti che ci hanno provocato problemi, poi le mettiamo sottosopra per capire da chi le abbiamo apprese e quanto sono distruttive, in seguito cominciamo ad inserire nuove convinzioni. In tutto questo la mente ha bisogno di elaborare la distruzione delle vecchie convinzioni e lo smantellamento del vecchio sé, e di interiorizzare le nuove convinzioni – siccome la psiche si deve preservare al fine di continuare ad operare in modo funzionale, i vecchi programmi tenteranno di riaffermarsi su quelli nuovi, per cui occorre essere costanti nell’inserimento dei nuovi programmi (per mezzo delle affermazioni).

Ognuno di noi ha i suoi tempi, visto che non siamo tutti uguali, per cui non si può dire che la riprogrammazione mentale si compie nel giro di un determinato lasso di tempo, però sicuramente il fatto che un soggetto rimanga sempre uguale rispetto a quando ha iniziato il percorso, diciamo entro i primi 2-3 mesi, è un segnale di allarme che indica che non sta seguendo il processo correttamente (le ragioni più comuni le ho spiegate in questo video) e che ha paura di cambiare veramente.


IL CONCETTO DI “BASE SIMBIOTICA

In origine (a partire dalla nascita), le persone dipendono dalla RELAZIONE SIMBIOTICA con le proprie MADRI e con coloro che si prendono cura di loro. Quando le cose vanno bene, la SIMBIOSI si esaurisce nel momento in cui il figlio impara a pensare in modo indipendente e ad assumersi la responsabilità per i propri sentimenti, pensieri, percezioni e comportamenti.

Tuttavia quando tale autonomia è minata dal COPIONE DI VITA proposto dai genitori, e di conseguenza le decisioni prese dal bambino si basano su tale copione disfunzionale, alcuni aspetti della simbiosi rimangono intatti in una forma malsana, che limita le alternative – ossia il bambino non è libero di pensare con la sua testa e di prendere le sue scelte. In tal caso, al fine di soddisfare i propri bisogni legati ai RESIDUI SIMBIOTICI, il soggetto continua a comportarsi con gli altri nello stesso modo in cui si comportava nella relazione originaria con la madre o con chi è si preso cura di lui al posto della madre biologica.

Questi soggetti sono quindi inconsapevoli di avere altre alternative a disposizione e inconsciamente cercano altri individui che entrino in relazione con loro secondo le stesse modalità della RELAZIONE SIMBIOTICA ORIGINARIA, e tentano di ottenere lo stesso anche da soggetti che spontaneamente non lo farebbero.

L’adulto rimasto con la testa da bambino sente che una qualsiasi minaccia alla RELAZIONE SIMBIOTICA TARDIVA è tanto grave quanto eventuali minacce alla sua sopravvivenza quando era un infante. In altre parole, se le persone rifiutano di avere un rapporto simbiotico con lui / lei, o se ne vogliono tirare fuori ad un certo punto, si sente in grave pericolo, esattamente come si sentiva da piccolo quando la mamma si allontanava fisicamente o metaforicamente da lui / lei.

A quel punto può cercare disperatamente di attrarre l’attenzione su di sé tramite l’INCAPACITAZIONE, atteggiandosi da vittima, nel tentativo di evocare una qualche risposta (anche negativa) dal mondo esterno.


DEFINIZIONE TECNICA DI “SIMBIOSI”

La SIMBIOSI si ha quando due o più individui si comportano come se formassero una sola persona. Per l’Analisi Transazionale (rimando al primo articolo introduttivo che ho scritto) nessuno di questi individui “energizza” (ossia, fa uso attivo) completamente tutti i propri Stati dell’Io (Genitore / Adulto / Bambino).

Sappiamo però che qualsiasi relazione significativa avrà, in qualche momento, un elemento di SIMBIOSI, la quale è infatti naturale fra genitori e figli – anzi è necessaria per la sopravvivenza di questi ultimi quando ancora non sono in grado di soddisfare i propri bisogni in modo autonomo.


LA SIMBIOSI PATOLOGICA E LE SUE CONSEGUENZE

La SIMBIOSI naturale fra genitori e figli, quando diventa PATOLOGICA interferisce con la sviluppo di spontaneità, consapevolezza e intimità nel figlio.

Secondo Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, la Salute Mentale è la facoltà di essere spontanei, consapevoli e in intimità con gli altri (essere realmente sé stessi, senza paure) – qualità che non si possono avere in una relazione simbiotica patologica.

In un RAPPORTO SIMBIOTICO ogni partecipante usa solamente una parte delle proprie abilità o della sua struttura interna, e così UNA MINACCIA PER UNO, DIVENTA UNA MINACCIA PER ENTRAMBI (perché i due sono un uno). Così si hanno pochissime alternative a disposizione, in quanto la capacità di pensare in modo autonomo viene soppressa a causa della necessità di proteggere l’altro partecipante alla simbiosi (l’uno senza l’altro non vive, e quindi si cerca di evitare a tutti i costi che l’altro “muoia”). L’efficienza nel risolvere un problema è limitata dal fatto di avere un’unica visione di ogni aspetto del problema, visto che non ci sono due visioni diverse da confrontare o integrare, per poi giungere ad una soluzione innovativa.

OGNI PARTECIPANTE IN UNA RELAZIONE SIMBIOTICA NON È LIBERO DI AVERE EMOZIONI E SENSAZIONI IN MODO INDIPENDENTE.

Le MADRI OPPRIMENTI inibiscono lo sviluppo di:

  • Spontaneità, in quanto il figlio non può mai essere l’iniziatore di un atteggiamento affettivo (sceglie sempre la madre quando è opportuno esprimere affetto).
  • Intimità: non si può essere veramente sé stessi quando è solo l’altra parte a poter prendere l’iniziativa e a determinare se un certo comportamento è accettabile o meno.
  • Consapevolezza: viene meno perché il bambino non ha né il tempo né la motivazione necessaria per esplorare il mondo in modo autonomo. Infatti in una simbiosi patologica il tempo e l’energia del bambino sono strutturati dalla richiesta di attenzioni della madre. Una volta adulto, il figlio non sarà in grado di auto-osservarsi e di essere cosciente di ciò che pensa, dice, fa e sente. In casi di grave disconnessione con il proprio sentire interiore (che viene considerata una vera e propria patologia) si dice infatti che la figura materna non è stata correttamente interiorizzata, perché troppo opprimente, o al contrario troppo fredda e distaccata.

I GIOCHI PSICOLOGICI COME STRUMENTO DI RICREAZIONE DEL RAPPORTO SIMBIOTICO

I GIOCHI PSICOLOGICI sono un tentativo di rivivere rapporti simbiotici non risolti fra il bambino e i suoi genitori, oppure sono una reazione di rabbia proprio a tali rapporti.

Infatti RIVIVERE UNA RELAZIONE SIMBIOTICA dà un SENSO DI SICUREZZA, sia che i soggetti siano nella condizione di coloro che vengono accuditi, sia che siano in quella di coloro che accudiscono. Nel primo caso il soggetto non si deve preoccupare del problema, poiché esso è sotto la responsabilità di qualcun altro, mentre nel secondo caso comunque non se ne deve preoccupare perché percepisce il problema come non suo, ma dell’altro, al quale sta “gentilmente dando una mano”.

I GIOCHI che derivano dalla RABBIA VERSO IL RAPPORTO SIMBIOTICO non fanno altro che rinforzarlo, visto che non lo interrompono. Essenzialmente questi soggetti ripropongono la relazione simbiotica originaria, e poi a ciò reagiscono con rabbia, tentando di spostare la responsabilità di risolvere la relazione simbiotica sull’altra persona coinvolta nel loro Gioco.


LE RELAZIONI CHE RISULTANO DA UNA SIMBIOSI

Queste relazioni possono essere sempre di 2 TIPI:

  • COMPETITIVE: ognuno compete per la stessa posizione nella simbiosi – ad esempio per quella del bambino dipendente.
  • COMPLEMENTARI: entrambe le parti sono in accordo sulle rispettive posizioni.

 

Diagramma che mostra una SIMBIOSI COMPLEMENTARE- MADRE: “Johnny, so che ti è difficile andare d’accordo con tuo fratello, ma dovresti almeno tentare”. JOHNNY: “Ma mamma, ho provato: non posso assolutamente sopportarlo”.
Diagramma che mostra una SIMBIOSI COMPETITIVA – MARITO: “Te l’ho detto almeno un centinaio di volte…” MOGLIE: “Aspetta un po’, non me l’hai MAI detto prima”.

L’INTENSIFICAZIONE nella

  • RELAZONE COMPETITIVA porta ad un aumento della rabbia, dell’agitazione, dell’incapacitazione, e di altri atteggiamenti disfunzionali.
  • Nella RELAZIONE COMPLEMENTARE l’intensificazione viene effettuata allo scopo di stabilire quale delle due parti otterrà la posizione ambita.

Ci sono poi 2 ordini (o gravità) di SIMBIOSI:

  • La SIMBIOSI STRUTTURALE DI PRIMO ORDINE prevede che entrambe le parti escludano interi Stati dell’Io (Genitore / Adulto / Bambino), o che svalutino solamente alcuni aspetti del proprio Genitore / del proprio Adulto / o del proprio Bambino. Si relazionano fra di loro o a partire da aree di contaminazione (se per esempio il Bambino contamina l’Adulto, il soggetto non è in grado di vedere la realtà in modo lucido e di reagire appropriatamente agli stimoli del mondo esterno). Se si tratta di una RELAZIONE COMPETITIVA, entrambi mirano a ricoprire la posizione di colui che definisce la realtà all’interno del rapporto: in questi casi alla fine o uno dei due cederà, oppure la relazione finirà.
  • Nella SIMBIOSI STRUTTURALE DI SECONDO ORDINE si parte dalle stesse dinamiche di quella di primo ordine, ma tale simbiosi è più invalidante della precedente. Ciascuno si comporta sulla base dell’esempio disfunzionale appreso in infanzia dai propri genitori. Un esempio molto frequente è quello delle madri che chiedono ai figli di soddisfare i loro bisogni, e così si invertono i ruoli: la mamma diventa la figlia e il figlio diventa il genitore. Questa dinamica è talmente devastante che il figlio, una volta adulto, incontra gravi difficoltà a realizzarsi pienamente nella vita, a prendersi cura di sé, a prendere le decisioni migliori per sé stesso e persino a formare un suo nucleo famigliare, tanto è grande il peso di non aver avuto un’infanzia degna di questo nome – perché questo tipo di madre “ruba” letteralmente l’infanzia al figlio, ed è spesso stata a sua volta obbligata da sua madre a prendersi cura di lei come se fosse sua figlia. Insomma, si tratta di dinamiche che si tramandano nel corso delle generazioni, e che sono molto più diffuse di quanto non si pensi. Si può naturalmente “guarire” da questa forma di IPER-RESPONSABILIZZAZIONE, e il primo passo per farlo è proprio quello di prendere coscienza di questa dinamica, il secondo è quello di abituarsi a pensare che non ci si può far carico delle responsabilità delle altre persone, poiché si deve prima pensare a sé stessi. 

In casi estremi, una richiesta inconscia di questo tipo da parte della madre può portare ad uno sviluppo accelerato dell’Adulto e del Genitore, generando così la schizofrenia.


Diagramma che mostra i MESSAGGI E gli ADATTAMENTI DI BASE NELLA SCHIZOFRENIA: GENITORE: “Non sei OK (al Bambino). Il mondo è un brutto posto. I miei bisogni vengono per primi”. L’ADULTO dello schizofrenico è male informato o addirittura privo di informazioni. BAMBINO: “Non sono OK (ha ha). Ho paura (del mondo). I genitori vengono per primi”.


COMPORTAMENTI PASSIVI E COMPORTAMENTI ATTIVI

I COMPORTAMENTI PASSIVI sono atteggiamenti che le persone adottano per evitare una risposta autonoma ad alternative, problemi o stimoli, col fine di soddisfare i propri bisogni e di raggiungere le proprie mete (essere accuditi, avere qualcuno che si assuma tutte le responsabilità) all’interno della struttura di relazioni simbiotiche patologiche. Questi sono soggetti DE-RESPONSABILIZZATI, che si comportano come se fossero dei bambini bisognosi e capricciosi.

Chi è in grado di pensare, sentire e agire in modo autonomo, adotta al contrario un COMPORTAMENTO ATTIVO. Così il soggetto si prefigge mete sue proprie, prepara mentalmente un piano per poterle raggiungere, sa cosa è necessario fare, e lo fa, assumendosi le responsabilità della propria vita.

I soggetti ADULTI possono SODDISFARE MEGLIO I PROPRI BISOGNI attraverso RELAZIONI AUTONOME. Quelle simbiotiche patologiche invece danno solamente l’illusione di star ottenendo ciò di cui si ha bisogno.


LA DISTORSIONE DELLA REALTÀ

Per poter essere degli individui sani, abbiamo bisogno di filtrare e strutturare gli stimoli interni (nostre emozioni, pensieri, sensazioni,…) ed esterni in modo corretto, ossia di osservarli per quello che sono, prendendone coscienza, e poi riflettere su ciò che è meglio fare per raggiungere un determinato obiettivo.

Ma se impariamo ad ignorare certi stimoli, a non riconoscerne l’importanza, e se li mettiamo insieme in forme che distorcono la realtà, diventiamo così simbioticamente dipendenti con gli altri, e limitiamo in modo non realistico le nostre alternative. Questo atteggiamento si chiama “ridefinizione”, ossia mantenimento di una visione prestabilita di sé stessi, degli altri e del mondo esterno, al fine di portare avanti il proprio “Copione di Vita”. In altre parole, il soggetto è pieno di pregiudizi e si ostina a non voler veramente vedere e sentire gli stimoli esterni, proprio per evitare di mettersi in discussione, cosa che lo farebbe sentire a disagio, poiché significherebbe dover cambiare il suo modo di pensare.

La RIDEFINIZIONE viene usata con i 4 COMPORTAMENTI PASSIVI:

  1. ASTENSIONE: una mancata risposta agli stimoli, ai problemi o alle alternative. Il soggetto si sente male, eppure evita a tutti i costi di pensare a cosa sta succedendo. Esempio: A dice a B: “Sono arrabbiato per il fatto che sei arrivato in ritardo!” Al che B appare spaventato e non reagisce. A causa di questo silenzio A si sente a disagio e può avvertire l’impulso a salvare B, chiedendogli per esempio: “Che cosa facevi?” Oppure può avere l’impulso a perseguitare B.
  1. IPERADATTAMENTO: il soggetto è totalmente focalizzato sugli altri, appare molto gentile, e quindi ottiene rinforzi dagli altri. Questo è il comportamento passivo che ha la maggiore quantità di attività di pensiero, ed è quindi quello più facile da trattare. L’iperadattato è uno che NON SA DIRE MAI DI NO. Il terapeuta deve evocare una risposta negativa o di rabbia dal paziente per scuoterlo, facendogli richieste assurde che non può soddisfare.
  1. AGITAZIONE: si tratta di un soggetto sempre agitato che svolge attività ripetitive per raggiungere la sua meta. Prova una spiacevole sensazione di tensione, per cui l’atto di agire gli serve per non avvertire tale disagio. La sua attività di pensiero è confusa e improduttiva. Avverte che la SIMBIOSI è minacciata e deve fare qualcosa per impedire che finisca, ma si sente inadeguato e non sa cosa fare. Quando era piccolo veniva accudito da un genitore che si mostrava molto agitato, e così ha imparato a reagire con un’agitazione ancora più intensa, usandola come meccanismo di controllo, per ridurre il disagio. L’AGITAZIONE VIENE USATA PER NEGARE LE PROPRIE SENSAZIONI E PER SPOSTARLE SU QUALCUN ALTRO. Il soggetto ha tendenze masochiste e compie movimenti ripetitivi come tamburellare con le dita, camminare avanti e indietro, balbettare, farfugliare, e così via.
  1. INCAPACITAZIONE O VIOLENZA: tentativo di rinforzare una SIMBIOSI che si sta rompendo, o che il soggetto sente di star perdendo. Durante la fase acuta, NON c’è nessuna attività di pensiero e il soggetto NON ACCETTA LA RESPONSABILITÀ DEL SUO COMPORTAMENTO. Se si ricorre all’INCAPACITAZIONE, si sta usando una forma di VIOLENZA IPERADATTATA che prevede un’autogratificazione: si inscenano così svenimenti, cefalee, palpitazioni, vomito, eccetera. Al fine di responsabilizzare questo soggetto, il terapeuta deve ritirare il suo sostegno e rifiutare di prestare cure al paziente, in modo da indurlo a riflettere. La VIOLENZA è naturalmente una reazione ancora più distruttiva, pure se l’INCAPACITAZIONE, essendo subdola, crea un senso di colpa opprimente nelle persone care – pensiamo ad esempio alla madre che si fa venire la tachicardia e che accusa un forte malessere ogni volta che il marito e il figlio non fanno quello che vuole lei (può quindi essere anche un’ipocondriaca).
4 simpatiche vignette che mostrano i 4 comportamenti passivi – astensione, iperadattamento, agitazione, violenza o incapacitazione. 

LA GRANDIOSITÀ

La GRANDIOSITÀ è un’altra modalità disfunzionale di essere in relazione con gli altri che serve a mantenere in piedi una SIMBIOSI. Si tratta di un’esagerazione per eccesso o per difetto di alcuni aspetti di sé, degli altri o della situazione. Per esempio il soggetto può affermare: “Ero così spaventato da non poter pensare” e in tal modo ingigantisce il suo stato d’animo, minimizzando le sue capacità di pensiero in casi di emergenza. Questo soggetto si aspetta quindi che la soluzione al suo problema arrivi dall’esterno, cerca in altre parole un salvatore. Inoltre la grandiosità controbilancia la percezione di essere inadeguati: quando è spaventata, questa persona evita di gestire le paure correlate alla sua inadeguatezza ad affrontare la situazione che gli si presenta sul momento.

Il PENSIERO SOTTOSTANTE implica una POSIZIONE DELIRANTE: “NON POSSO SOPPORTARLO” e porta di conseguenza ad uno SPOSTAMENTO DI RESPONSABILITÀ SUGLI ALTRI E / O SULLA SITUAZIONE.


LA DEPRESSIONE

La depressione può essere considerata una forma di passività portata all’estremo. Essa implica un rallentamento delle risposte e un’inibizione sia del vissuto interiore in risposta agli stimoli del mondo esterno, sia delle risposte affettive o comportamentali agli stimoli stessi. Il depresso considera sé stesso incapace, non disposto o non interessato ad agire. Questa sua mancanza di volontà è una forma di negativismo: alcuni diventano talmente depressi da non essere in grado di agire senza un appoggio esterno. Si tratta quindi di una DE-RESPONSABILIZZAZIONE FORTE, di un FUGGIRE DA SÉ STESSI e di un ATTEGGIAMENTO PESSIMISTA E VITTIMISTA.

Tale NEGATIVISMO può essere una mancata risoluzione del CONFLITTO legato alla SOCIALIZZAZIONE, che si manifesta fra i 2 e i 3 anni di età: dal momento che questi soggetti sanno che la rabbia non è appropriata e che l’espressione della rabbia può solo determinare una risposta ambientale negativa o svalutante, la DEPRESSIONE DIVENTA L’ALTERNATIVA PREFERITA. Anche i sentimenti della paura e del dolore possono essere fonte di difficoltà, e quindi il soggetto, tramite la depressione, può star tentando di fuggire da essi.

In Analisi Transazionale si dice che questo soggetto ha la tendenza a svalutare (minimizzare o ignorare) le “carezze positive” (attenzioni).


IL TRIANGOLO DI KARPMAN

Il TRIANGOLO DRAMMATICO è una teoria formulata dal Dottor Stephen Karpman, e prevede la partecipazione di 3 parti ad un GIOCO PSICOLOGICO:

  • PERSECUTORE: parte da un atteggiamento di tipo “Io sono Ok – Tu non sei Ok” e si sente autorizzato a svilire gli altri e a fare del male.
  • SALVATORE: parte da un atteggiamento di tipo “Io sono ok – Tu non sei ok” e finge di essere di aiuto, mentre rinforza ciò che dice e fa il Persecutore, confermando il “non ok” della VITTIMA.
  • VITTIMA: parte da un atteggiamento di tipo “Io non sono ok – tu sei ok”, si sente totalmente impotente e si adatta al modo di pensare (Sistema di Riferimento) degli altri.

Tutte e 3 queste posizioni sono inautentiche, perché i giocatori operano solo con il loro Genitore (Persecutore e Salvatore) o con il loro Bambino (Vittima), anziché con l’Adulto (parte matura che consente di vedere la realtà per come è, e di cambiare le proprie convinzioni).

La mossa iniziale nei GIOCHI PSICOLOGICI può essere fatta da un giocatore che si trova in qualsiasi posizione, e il gioco viene confermato quando gli altri si adattano al modo di pensare e di vedere la vita (Sistema di Riferimento) presentato da colui che ha iniziato, formulando così una seconda svalutazione:

PERSECUTORE: “Tu non sei ok perché…”

VITTIMA: “Mi dispiace…”

SALVATORE (rivolto al PERSECUTORE): “Dovresti essere più comprensivo” (rivolto alla VITTIMA): “No?”

Tutti e 3 hanno confermato il NON OK, ma il SALVATORE usa il Genitore per effettuare un tentativo di ridefinizione della situazione.


I 6 RUOLI “DISFUNZIONALI”

Le persone che hanno comportamenti disfunzionali adottano questi 6 ruoli (unendoli ai Giochi Psicologici) di Ridefinizione (spostamento di responsabilità, pensieri, sentimenti e disagio sugli altri), e sembra che mentre un soggetto è in un ruolo raccolga “bollini” o “buoni” per il ruolo successivo, quando il suo Copione di Vita lo richiede, e sembra anche che si cambi ruolo secondo un ordine prestabilito.

IL LAVORATORE INDEFESSO

Esclama: “Guarda quanto mi dò da fare!”, vuole proiettare un’immagine di sé come di qualcuno che mette tanta energia in ciò che fa. Al livello sociale è un Salvatore. Tuttavia evita accuratamente di prendere in considerazione gli aspetti necessari ad arrivare alla risoluzione del suo problema. Al livello psicologico si difende da una posizione di Vittima o Persecutore, e tende ad operare da una contaminazione o da una esclusione da parte del Bambino – ossia contamina o esclude il suo Genitore e / o il suo Adulto.

COLUI CHE SI PRENDE CURA

Gioca a “Sto solo cercando di aiutarti”. La sua posizione sociale è quella del Salvatore, mentre al livello psicologico è una Vittima o un Persecutore. Si prende cura degli altri, che gli altri lo chiedano o meno. Opera di solito da una esclusione che parte dal Genitore (ossia il suo Genitore esclude il Bambino o l’Adulto).

IL GIUSTO ARRABBIATO

La sua posizione sociale è quella del Persecutore, e gioca a “Ti ho beccato, figlio di puttana”. Il suo Genitore esclude l’Adulto e / o il Bambino – in pratica è un Pregiudizio che cammina, ripete senza esserne nemmeno cosciente le ingiunzioni genitoriali assorbite in infanzia (nel video precedente ho fatto l’esempio di chi giudica un’altra persona perché vuole manifestare un ex o di chi giudica qualcuno che si è arricchito, e che così facendo trasforma la sua convinzione limitante in una virtù). Al livello psicologico si difende da una posizione di Vittima.

IL GIUSTO RATTRISTATO

È un martire, che esclama: “Guarda cosa mi hanno fatto fare!” “Non è terribile?” Al livello sociale occupa il ruolo di Vittima, mentre al livello psicologico quello di Persecutore. Il suo Bambino contamina o esclude il Genitore e / o l’Adulto.

IL FALLITO ARRABBIATO

Al livello sociale è una Vittima, mentre al livello psicologico è un Persecutore velato. Questo soggetto opera da un’esclusione del Genitore e / o dell’Adulto, effettuata dal Bambino. Gioca ad una variante di “Prendetemi a calci (se osate)” e cerca tutte le opportunità per giocare a “Burrasca” (mettere zizzania, creare problemi).

IL FALLITO RATTRISTATO

Gioca a “Povero me” / “Prendetemi a calci (per favore!)” / “Non prendetemi a calci (per favore!)”. Prima di ricoprire questo ruolo è sicuramente stato un Persecutore a livello sociale o psicologico. Al livello sociale ora può essere una Vittima, o può apparire franco e diretto, ma la sua posizione al livello psicologico è quella di Vittima. Il suo Bambino sta contaminando o escludendo il suo Genitore e / o il suo Adulto.

Esagono della Ridefinizione che mostra i ruoli e le posizioni di Ridefinizione – le lettere P, S e V stanno rispettivamente per Persecutore, Salvatore e Vittima (vedi Triangolo Drammatico di Karpman).

L’ESSERE OK COME MECCANISMO DI MANIPOLAZIONE INCONSCIA DA PARTE DEI GENITORI IN INFANZIA

Jacqui Lee Schiff nel suo libro fa notare che il fatto di “ESSERE OK” è comunque un concetto competitivo perché INCORPORATO DALL’ESTERNO, e viene usato per MANIPOLARE IL BAMBINO AFFINCHÉ SI CONFORMI SOCIALMENTE, e generalmente non è correlato a mete specifiche, quali carezze (riconoscimenti, attenzioni) o successi. Il concetto di “ESSERE OK” di solito fornisce una struttura per l’auto-critica, il senso di colpa e la sofferenza.

Aggiungo che per deprogrammare questo “non ok” ci vuole molta costanza e anche un po’ di tempo – esso si manifesta in genere tramite i trigger emotivi (tentativo di evitamento di un evento che sembra essere uguale all’evento traumatico originario), altre volte tramite atteggiamenti auto-svalutanti e vittimistici, che paradossalmente non possono essere scardinati se si resta sulla posizione di “non ok” / vittima delle circostanze.

La riprogrammazione mentale richiede quindi una maturazione interiore.


RESISTENZE NEL DEPROGRAMMARE CONVINZIONI E SCHEMI DI PENSIERO DISFUNZIONALI

Quando le persone hanno trovato qualcosa che funziona, non sono disponibili a considerare la possibilità di non aver ancora acquisito la “risposta ottimale e definitiva” e di dover continuare a pensare e a cambiare man mano che incontrano nuove esperienze di vita [J. L. Schiff]. 

In altre parole, le persone preferiscono continuare ad operare secondo programmi mentali altamente disfunzionali solo perché consentono loro di “sopravvivere”, di andare avanti nonostante tutto, e quindi non sono pronte a lasciar andare ciò che li fa stare male. Questa è la “zona di comfort”: preferisco rimanere nella sofferenza e nella mediocrità non perché ci sto bene, ma perché è tutto ciò che conosco, dunque l’idea di fare il salto nell’ignoto mi spaventa.

Questi soggetti sono convinti di aver trovato la risposta giusta ai loro problemi, e quindi non sono nemmeno disposti ad auto-osservarsi e a mettersi in discussione. Non hanno flessibilità perché non comprendono che i programmi che si portano dietro sin dall’infanzia sono ormai desueti e non consentono loro di evolvere.


UN ELENCO DI MESSAGGI GENITORIALI POSITIVI

Questo è un interessante elenco di messaggi costruttivi per bambini molto piccoli (massimo 3 anni di età) che ho trovato nel libro della Schiff:

  • “SEI RESPONSABILE PER QUELLO CHE DICI E FAI”.

  • “CI SONO SEMPRE DEI MOTIVI”.

  • “I SENTIMENTI SONO OK”.

  • “PUOI RISOLVERE I PROBLEMI”.

  • “VOGLIAMO CHE TU PENSI”.

  • “NON È OK SVALUTARE TE STESSO, GLI ALTRI O LA REALTÀ”.

  • “NESSUNO PUÒ SAPERE CIÒ CHE STAI SENTENDO O PENSANDO, A MENO CHE NON GLIELO MOSTRI CON QUELLO CHE FAI E CON QUELLO CHE DICI”.

  • “NO, IO NON SPARISCO QUANDO TU VAI NELLA STANZA ACCANTO”.

  • “NON È OK DIRE BUGIE”.

I bambini tendono fino ad una carta età ad usare rigidamente le strutture incorporate dai genitori, fino a che non scoprono da soli cosa funziona realmente (attivazione della parte adulta) e sono diventati abbastanza coraggiosi da iniziare le loro sperimentazioni.


QUAND’È CHE LE PERSONE SONO VERAMENTE DISPOSTE A CAMBIARE LE LORO CONVINZIONI?

Molti arrivano fin qui mossi dall’idea di ottenere finalmente quello che vogliono, ma già quasi all’inizio del cammino di riprogrammazione scoprono di non essere disposti a lasciar andare i loro vecchi punti di riferimento.

Allora è bene chiedersi quali sono i segnali che indicano che il soggetto non si fermerà appena all’inizio del percorso?

La Schiff spiega che

Il “Sistema di Riferimento” viene messo in discussione:

  • Quando l’Io Bambino inizia a sentirsi a disagio con il suo sistema di riferimento attuale, e cerca informazioni adulte e un nuovo permesso.
  • Quando l’Io Bambino inizia a sentirsi a disagio col Sistema di Riferimento attuale, e cerca nuovi permessi.

Questi sono i due casi in cui IL CAMBIAMENTO PARTE SPONTANEAMENTE DAL SOGGETTO E NON È INDOTTO DA RICHIESTE ESTERNE.

Dunque bisogna sentirsi fortemente a disagio per decidersi a cambiare veramente! Se stiamo traendo BENEFICI (secondari) dalla situazione nella quale ci troviamo, niente e nessuno riuscirà a scuoterci.

Il CAMBIAMENTO, la RIPROGRAMMAZIONE, si può considerare completa quando le NUOVE DEFINIZIONI sono INTEGRATE in TUTTI E 3 GLI “STATI DELL’IO”, sotto forma di:

  • Genitore ok”.

  • “Adulto realistico”.

  • “Bambino-che-risolve-i-problemi”.

In altre parole tutti e 3 gli stati dell’Io devono sentirsi a loro agio con il cambiamento.

Simpatica vignetta che adatta la teoria freudiana riguardo le 3 parti del sé ai 3 Stati dell’Io dell’Analisi Transazionale di Eric Berne: ID – IL BAMBINO: “Io voglio / ho bisogno di… / Soddisfa le mie richieste”. EGO – L’ADULTO – l’elaboratore di dati, lo Stato dell’Io che permette di liberarsi delle convinzioni limitanti (registrate nel Bambino e nel Genitore). SUPEREGO – IL GENITORE: “Non puoi farlo / Non devi farlo / Non ti è permesso farlo”.

Dobbiamo sempre ricordare che le DEFINIZIONI GENITORIALI stabiliscono i PARAMETRI DI TUTTI I PENSIERI, I SENTIMENTI E I COMPORTAMENTI DELLE PERSONE. L’Io Genitore definisce:

  • Come il Bambino può ricevere le carezze (attenzioni, approvazione).
  • Il significato di “Ok” e “Non-ok”, e di come ciò si applica al Bambino.
  • Il significato di parole quali “buono”, “cattivo”, “carino”, “difficile”, “voglio” e “bisogno”.

Dunque quando deprogrammiamo stiamo in verità distruggendo “in modo selettivo” ingiunzioni genitoriali desuete che provocano sofferenza, e quando riprogrammiamo la mente stiamo inserendo programmi che sono del tutto alieni per il nostro “Sistema di Riferimento”, dunque non deve sorprendere se si incontrano molte resistenze durante il processo – il “segreto” è quello di non fermarsi, perché se si persiste, la mente inconscia accetterà di fare sue le nuove convinzioni che le proponiamo, per il semplice fatto che ci siamo fatti il “lavaggio del cervello” o la “propaganda” da soli, ripetendo molte volte questi nuovi pensieri (le affermazioni). Poco importa quanto tempo ci mettiamo!


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